Perché Google Translate sbaglia nonostante le AI?

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Ciao a tutti. L’altro giorno un utente mi ha chiesto: “Com’è possibile che Google Translate faccia ancora errori così grossolani? Con tutta l’intelligenza artificiale che abbiamo oggi, non dovrebbero averlo già perfezionato?”

Una domanda assolutamente legittima. Siamo nel 2025, l’IA è ovunque, ci accompagna in ogni ambito della vita digitale… eppure Google Translate continua a inciampare in frasi goffe, traduzioni sbagliate e interpretazioni che, a volte, fanno addirittura sorridere. Ma la risposta non è così ovvia come sembra.

Google Translate non è mai stato progettato per fornire traduzioni perfette. È uno strumento pensato per aiutare nel quotidiano, per farci cogliere il senso generale di un testo, leggere un cartello in un paese straniero, scrivere un messaggio semplice in una lingua che non conosciamo. Non è un traduttore professionale, e non vuole esserlo. Il suo vero punto di forza è l’immediatezza: è gratuito, supporta oltre 130 lingue, funziona in tempo reale… ma proprio questa versatilità richiede dei compromessi. Per rendere il servizio accessibile a tutti, ovunque, in ogni condizione di rete e su qualunque dispositivo, Google Translate deve “semplificare”, anche a costo di sacrificare precisione, tono e stile.

Dal 2016 Google ha integrato nei suoi sistemi modelli neurali basati su intelligenza artificiale, che hanno migliorato sensibilmente la qualità delle traduzioni rispetto al passato. Ma questi modelli restano comunque più leggeri e generici rispetto a quelli usati dai chatbot come ChatGPT o dai nuovi modelli Gemini della stessa Google. La ragione è semplice: Translate deve essere rapidissimo. Non può permettersi di “riflettere”, di analizzare il contesto in profondità, perché il suo obiettivo è restituire risultati istantanei, anche con una connessione debole.

Ed è proprio qui che si trova uno dei suoi limiti più evidenti: la mancanza di contesto. Google Translate lavora spesso frase per frase, senza tenere conto dello stile generale, dei riferimenti culturali, delle sfumature linguistiche o dei giochi di parole. Al contrario, strumenti basati su IA conversazionale possono analizzare l’intero testo, comprenderne il tono e scegliere parole che suonano più naturali. Prendiamo ad esempio la frase inglese “He chickened out at the last minute”. Google potrebbe restituire “Si è spaventato all’ultimo minuto”, che è tecnicamente corretta ma suona un po’ rigida. Un traduttore umano — o un’IA che ragiona in modo più profondo — direbbe invece: “Si è tirato indietro all’ultimo momento”, una traduzione più fedele al senso e più scorrevole in italiano.

Un altro aspetto cruciale riguarda la quantità e la qualità dei dati disponibili. Le lingue più diffuse hanno milioni di esempi con cui addestrare l’IA, ma quelle meno parlate — magari usate solo da piccoli gruppi — offrono pochissimi dati, rendendo difficile ottenere buoni risultati. È un problema di risorse linguistiche, non solo di tecnologia.

La buona notizia è che Google sta lavorando per colmare questo divario. Ha iniziato a integrare modelli più potenti nei suoi servizi, e con il tempo anche Translate ne beneficerà. Ma è un processo lento: portare queste innovazioni su scala globale, mantenendo stabilità e sicurezza, è un’impresa tutt’altro che semplice.

In sintesi, no, Google Translate non è stupido, né obsoleto. È semplicemente ottimizzato per un compito specifico: offrire traduzioni immediate e accessibili a miliardi di utenti. Ma se cerchi qualcosa di più sofisticato, più umano, più sfumato… allora è il momento di rivolgersi a strumenti più avanzati o, meglio ancora, a un traduttore in carne e ossa.