Bufale e bugie. Perché ci attraggono così tanto?

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Bufale e bugie. Perché ci attraggono così tanto?

Ti è mai capitato di leggere una notizia assurda e pensare: “Dai, questa è una cavolata… ma sarebbe troppo figo se fosse vera”? A me sì. Più di una volta. Ed è lì che ho cominciato a chiedermi: perché certe bufale girano così bene? Perché ci restiamo incollati? Perché, anche quando dentro di noi sentiamo odore di fregatura, una parte di noi… ci vuole credere?

Non sto parlando solo delle classiche fake news da boomer su WhatsApp o dei complotti estremi da film di fantascienza. Parlo di tutte quelle storie che girano online – spesso esagerate, spesso costruite ad arte – che però ci parlano in qualche modo. Ci danno una spiegazione, un colpevole, una speranza. O anche solo un po’ di adrenalina. Perché la verità, diciamocelo, è spesso noiosa. Lineare. Spiegata da tizi in camice o grafici colorati. E invece la bufala è avvolta nel mistero, sa di proibito, di “qualcosa che non vogliono farti sapere”. E questo ci accende. Non importa se è credibile, importa come ci fa sentire. Ed è lì che scatta la magia (o la trappola, dipende dai punti di vista). Una bufala funziona perché ci emoziona. Ci fa sentire svegli, “diversi”, quasi speciali. È come dire: “Io so qualcosa che voi non sapete”. E quando lo racconti o lo condividi, non è solo la notizia che stai facendo girare: è una parte della tua identità. E il web, lo sappiamo, di questa roba si nutre. Ogni click, ogni condivisione, ogni flame nei commenti… è benzina. L’algoritmo non distingue il vero dal falso, distingue solo quanto una cosa fa rumore. E le bufale, beh… fanno casino. E questo le rende irresistibili. Ma non è solo colpa del web. Siamo noi che – per insicurezza, per bisogno di appartenenza, per fame di qualcosa di “grande” – siamo attratti da queste storie come falene verso la luce blu dello smartphone. Perché la verità ci lascia spesso freddi, mentre una bella bugia… ci scalda dentro.
Certe volte mi chiedo: ma se vivessimo in un mondo più umano, più empatico, più curioso, avremmo ancora bisogno delle bufale? O forse sono proprio il sintomo di qualcosa che ci manca?
Alla fine non si tratta solo di “credere o non credere”. Si tratta di ascoltarsi. Di capire cosa ci spinge a cliccare, a fidarci, a difendere una versione dei fatti solo perché ci fa stare meglio. E magari imparare a volerci un po’ più bene anche nella confusione, senza per forza aggrapparci a favole travestite da notizie.

Non ho una risposta definitiva. Ma forse, smettere di cercare “la verità assoluta” e cominciare a farsi domande sincere… è già un buon inizio.

Antonio Cesario