Paradosso della coscienza osservante: siamo noi a pensare, o siamo pensati?

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Paradosso della coscienza osservante: siamo noi a pensare, o siamo pensati?

C’è una trappola sottile, nascosta in ogni pensiero che facciamo. Una trappola che raramente vediamo, perché siamo troppo occupati a pensare per accorgerci del pensare stesso.

Viviamo immersi in un flusso continuo di pensieri, come se fosse naturale, spontaneo, nostro. Ma… ci siamo mai chiesti davvero chi sta pensando in questo preciso momento? Chi è la voce che ascoltiamo nella testa? Chi sta leggendo queste parole?

Siamo noi a generare i pensieri, o siamo solo testimoni di qualcosa che accade da sé, come lo spettatore di un film di cui non conosce il regista?

Cartesio e l’illusione del pensiero come identità

Il famoso filosofo René Descartes (in latino Cartesius), nel XVII secolo, aveva formulato la celebre frase: “Cogito, ergo sum”“Penso, dunque sono”. Un’affermazione potente, che poneva il pensiero come fondamento dell’identità.

Ma ecco il paradosso: e se la coscienza non fosse la sorgente dei pensieri, ma solo lo schermo su cui questi vengono proiettati? E se il pensiero accadesse senza una vera volontà da parte nostra, come un sogno che ci attraversa?

In quel caso, l’“io” non sarebbe l’autore del pensiero, ma solo il luogo in cui il pensiero si manifesta.

L’effetto osservatore e la realtà quantistica

Le cose si complicano ancora di più se guardiamo alla fisica quantistica. Qui entra in gioco il cosiddetto effetto osservatore: a livello subatomico, alcune particelle sembrano non avere uno stato definito fino a quando non vengono osservate.

Questo significa che l’atto di osservare modifica ciò che viene osservato.

Ora chiediamoci: cosa significa “osservare”? Serve una macchina? Una mente? Una coscienza? E se ogni atto di osservazione esterna fosse anche un atto interno, chi è l’osservatore dentro di noi?

Forse non siamo entità isolate che osservano il mondo, ma il punto in cui il mondo prende coscienza di sé stesso. Un universo che si guarda attraverso i nostri occhi.

Il cervello come ricevitore, non generatore

Alcune teorie neuroscientifiche recenti suggeriscono una visione sorprendente: la coscienza non nasce dal cervello, ma è qualcosa che il cervello “capta”.

Come una radio che sintonizza una stazione: la musica non è nella radio, la radio la riceve. Allo stesso modo, il pensiero non nasce nella testa, ma passa attraverso di essa.

In questo scenario radicale, la mente umana diventa una sorta di decoder biologico collegato a un “campo di coscienza universale”. I pensieri non sarebbero nostri, ma ricevuti. E noi? Siamo solo il punto in cui diventano voce, linguaggio, emozione.

Ma se non possiamo nemmeno controllare il nostro prossimo pensiero, a chi appartiene l’intenzione?

L’illusione dell’“io” e il testimone silenzioso

Quando diciamo “io”, spesso ci riferiamo a un miscuglio di memorie, emozioni, impulsi, storie. Ma in mezzo a tutto questo caos, chi è che guarda? Chi è quel testimone silenzioso che si accorge di essere vivo, di leggere, di pensare?

La scienza non è ancora riuscita a localizzarlo. La filosofia lo cerca da secoli. Le religioni lo chiamano anima, atman, spirito. Ma forse non è nemmeno un’entità. Forse è solo un’eco persistente, un’illusione stabile, una coscienza senza autore.

E se fosse vero che la coscienza non è il prodotto, ma il principio di tutto… allora tutto cambia: volontà, libertà, identità andrebbero ripensate da zero.

E allora?

Non lo so. E forse non dobbiamo per forza saperlo.
C’è però una cosa che rimane, in mezzo a tutto questo spaesamento: la meraviglia.

Il fatto stesso che ci poniamo domande simili, che ci interroghiamo sul senso di ciò che pensiamo, è già coscienza che osserva se stessa. È come uno specchio che si guarda allo specchio.

E forse, alla fine, non siamo qui per trovare risposte.
Forse siamo qui per continuare a osservare.

Antonio Cesario